La questione che si pone per una pratica interpretativa che abbia come focus il Reale riguarda il seguente quesito: come deve essere la modalità di interpretazione che voglia sintonizzarsi con la pulsazione dell’inconscio?
Il prodotto del discorso dell’analista è la lettera asemantica che esprime la nostra esperienza di godimento. Porre in posizione di agente l’oggetto a implica mettere al lavoro il soggetto diviso ($) per produrre il marchio di godimento con cui il linguaggio lo ha catturato.
Nello spunto dedicato al transfert sottolineavamo che l’analista si fa sembiante dell’oggetto a. Adesso possiamo precisare lo statuto logico di ciò che viene messo in posizione di sembiante nel discorso dell’analista: si tratta del plusgodere che alimenta il godimento del sintomo e che sostiene il fantasma.
Il Nome-del-Padre non coincide con il padre reale, corrisponde piuttosto alla funzione paterna. Nell’orientamento lacaniano il Nome-del-Padre è un operatore psichico che consente al soggetto di accedere alla funzione simbolica, alla possibilità cioè di dare un senso all’esperienza.
La nevrosi ossessiva è caratterizzata dalla ricerca del senso e sopporta male il non-senso, in questa struttura clinica il soggetto esige che tutto sia simbolizzato in maniera esaustiva. Nell’isteria invece il soggetto si presenta per la via della mancanza d’essere e dimostra quanto il senso sia insufficiente a render conto dell’essere del soggetto.
La fondazione di Jonas nel 2003 traduce nel campo istituzionale la nuova apertura teorica formulata da Recalcati nel libro Clinica del vuoto (2002). Si tratta di un testo che allarga l’orizzonte clinico che Recalcati aveva costruito con i suoi precedenti testi sull’anoressia-bulimia.
Il cammino psicoanalitico di Recalcati non è caratterizzato soltanto dalla formulazione di nuovi concetti. Il lavoro teorico-clinico di Recalcati mostra una vocazione intellettuale che ci consente di comprendere ancor di più il ruolo della psicoanalisi nella cultura e nella vita della città.
Una volta in un’intervista mi è capitato di dire che l’analista non va posto sullo stesso asse relazionale che lega un soggetto al padre. Certamente in una fase iniziale della cura l’analista assume le sembianze di una figura paterna, ma più si va avanti nella cura e più l’analista presentifica quella dimensione non metabolizzabile da nessuna metafora paterna.