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La mentalizzazione è un processo relazionale, infatti è notevolmente condizionata dal campo relazionale in cui avviene.

Mentalizzazione e discorso dell'Altro

Anche la prospettiva della mentalizzazione distingue nel campo relazionale del linguaggio le parole dalle intenzioni.

Le parole non possono tradurre del tutto la nostra esperienza soggettiva e non possono trasmetterla integralmente alle altre persone. Per tal ragione quando ci troviamo di fronte alle parole degli altri, la comprensione che possiamo avere delle loro intenzioni può avvenire solo attraverso dei processi inferenziali.

Solo quando le parole sembrano rispecchiare in maniera fedele le intenzioni comunicative di chi le pronuncia possiamo compiere quella che in linguistica viene definita un’“interpretazione letterale”, ma il più delle volte siamo chiamati ad attivare una serie di processi inferenziali che provano a colmare la frattura tra le parole e le intenzioni.

Ora, la mentalizzazione riguarda sia la comprensione della nostra esperienza soggettiva sia la possibilità di interpretare l’atteggiamento intenzionale che gli altri ci trasmettono attraverso le loro azioni comunicative.

La mentalizzazione si configura come quella funzione psicologica che consente “di interpretare il proprio e altrui comportamento in termini di stati mentali intenzionali” [A. Colli, Il desiderio di essere capiti. Rotture, mentalizzazione, intersoggettività, Raffaello Cortina, Milano 2024, p. 14].

La mentalizzazione istituisce le condizioni di possibilità per una connessione simbolica tra il soggetto e l’Altro. Da questo punto di vista possiamo considerare la mentalizzazione, che negli studi iniziali di Fonagy e Target (2001) veniva indicata prevalentemente come “funzione riflessiva”, come il presupposto per il transito dallo sciame al discorso dell’Altro.

La mentalizzazione è quel processo interpretativo che collega le parole e le intenzioni, i significanti con le spinte motivazionali e relazionali: permette di costruire una interpretazione del desiderio dell’Altro nei confronti del soggetto e allo stesso tempo permette al soggetto di percepire la differenza tra il desiderio dell’Altro e il proprio desiderio.

Attraverso la mentalizzazione il soggetto entra in contatto con gli stati mentali dell’Altro ed è al contempo in grado di distinguerli dai propri.

Ecco perché possiamo trovare un’analogia tra il costrutto della mentalizzazione e quello di discorso dell’Altro: in entrambi i casi il soggetto entra in una relazione simbolica con l’Altro e a partire da questa relazione intersoggettiva ha l’occasione per sperimentare la differenza dei propri stati interni rispetto a quelli dell’Altro. Nel processo psicologico e relazionale della mentalizzazione – la mentalizzazione è un processo relazionale, infatti è notevolmente condizionata dal campo relazionale in cui avviene – il soggetto entra in rapporto simbolico con l’Altro e grazie a questo rapporto può istituire una lettura della propria esperienza singolare.

A questo proposito possiamo riprendere la serie di formulazioni teoriche sui processi di alienazione e separazione. L’alienazione inserisce il soggetto nel campo relazionale istituito dalla dimensione del linguaggio, l’alienazione introduce il soggetto nel discorso dell’Altro. E la separazione apre l’occasione per il soggetto di posizionarsi e differenziarsi rispetto al discorso dell’Altro.

Nella clinica della nevrosi osserviamo che il processo di separazione avviene solo parzialmente, perché l’interpretazione che il soggetto costruisce a proposito delle intenzioni desideranti dell’Altro non è fondata sulla possibile co-esistenza del desiderio dell’Altro e del desiderio del soggetto.

L’interpretazione del nevrotico, che si stabilizza in ciò che viene indicato con il concetto di fantasma, non apre alla possibilità di una sintonizzazione intersoggettiva dove si sperimenta una vera intimità con l’Altro.

Gli studiosi della social cognition - ripresi nel lavoro di Colli (2024, p. 24) - indicano la creazione di questi stati mentali di connessione come "we-mode".

E in effetti si tratta della possibilità della nascita di una dimensione intersoggettiva che va al di là dell’io e del tu. Potremmo aggiungere che dal punto di vista lacaniano negli stati we-mode la “sensazione di comprensione e sicurezza” si realizza sulla base delle vibrazioni della lalangue, cioè a partire da una sintonizzazione tra parlesseri.

Si tratta di una sintonizzazione che avviene non solo grazie alle opportunità simboliche offerte dalle interpretazioni delle intenzioni. La sintonizzazione delle rispettive vibrazioni della lalangue si fonda innanzitutto su un atto di fiducia. Allo stesso tempo però va notato che questo atto di fiducia non nasce dal niente perché dipende notevolmente del campo relazionale costruito dal discorso, ma chiamiamo in causa la dimensione dell’atto perché si realizza solo se il soggetto lo compie, solo se avviene una scelta-atto che non può trovare garanzia in nessun Altro discorso.

La connessione intersoggettiva e la fiducia relazionale generate dalla sintonizzazione della lalangue risultano decisive non solo per andare oltre l’orizzonte di comprensione tracciato dalla mentalizzazione, ma anche per avviare la stessa esperienza della mentalizzazione.

L’esperienza della lalangue non è soltanto situata dopo le colonne d’Ercole del linguaggio, ma è anche il punto di partenza di ogni relazione intersoggettiva e consente di realizzare il desiderio di essere capiti.

Tutto ciò può sembrare un paradosso perché riscontriamo che la dimensione della lalangue da un lato ci conduce a un’intesa intersoggettiva che va al di là della comprensione del significato delle rispettive intenzioni e dall’altro costruisce la base relazionale per intendersi attraverso il processo della mentalizzazione.

Viene allora da chiedersi se sia la fiducia generata dalla sintonizzazione delle rispettive esperienze della lalangue la base della mentalizzazione o se siano invece i processi inferenziali che caratterizzano la mentalizzazione il presupposto della modalità relazionale we-mode.

Possiamo infatti domandarci quanto ci sia di affettivo e quanto di inferenziale nella mentalizzazione: la connessione emotiva-affettiva della lalangue è il presupposto della mentalizzazione? L’esperienza della lalangue è il presupposto emotivo e relazionale da cui prende avvio il processo della mentalizzazione? E allo stesso tempo: quanto la mentalizzazione condiziona il destino della lalangue?

Tutte queste le domande affiorano inevitabilmente nel momento in cui ci confrontiamo con le vibrazioni emotive che caratterizzano l’incontro i pazienti borderline, pazienti che vivono la drammatica disconnessione tra sciame e discorso, tra lalangue e linguaggio, senza potersi appoggiare a un processo dialettico in grado di aprire un orizzonte più creativo e meno ripetitivo per il Reale del trauma.

 

Per qualche spunto in più guarda questo video su lalangue, relazione e godimento:

 

sciame, lettera e godimento

  

Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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