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Bollas ha definito la madre come un “oggetto trasformativo”

La madre, l'oggetto trasformativo e il sogno

Nella teoria psicoanalitica la madre è il primo oggetto esterno di cui il neonato fa esperienza.

La madre però, oltre a essere un oggetto che pian piano viene differenziato dal e viene percepito nelle sue qualità particolari, si presenta anche come un processo che è collegato all’essere del bambino e alla modificazione e regolazione del suo essere. Per tal ragione lo psicoanalista Christopher Bollas ha definito la madre come un “oggetto trasformativo”.

La madre come oggetto trasformativo

Nel corso della vita adulta ciascun soggetto continua a cercare degli oggetti che siano capaci di produrre delle trasformazioni del Sé. La modalità in cui si manifesta il rapporto con l’oggetto porta con sé il marchio del primo legame con l’oggetto materno.

Bollas sottolinea che la madre attraverso il suo particolare idioma di cura trasmette al bambino un’estetica dell'essere: in una sorta di discorso privato tra madre e bambino viene costruito un idioma di gesti, sguardi e suoni che scandisce l’interazione. La madre “sufficientemente buona” di cui parla Winnicott stabilisce le condizioni relazionali affinché il bambino percepisca una continuità dell’essere.

Nel primo periodo della sua vita il bambino percepisce la madre come un ambiente interno ed esterno perché la madre nel nutrirlo, cambiarlo, cullarlo, giocare e farlo dormire istituisce i ritmi di un processo che trasforma l’esperienza del Sé. La madre è il primo oggetto conosciuto ancor prima che il bambino ne prenda cognizione attraverso una rappresentazione oggettuale.

In un periodo precoce dello sviluppo la presenza della madre non viene ancora identificata dal bambino come un Altro, ma è vissuta come un processo di trasformazione. In questo momento precoce dell’esistenza il rapporto oggettuale con la madre emerge non come il desiderio verso un oggetto, ma attraverso una sorta di identificazione percettiva dell’oggetto con la sua funzione di trasformazione ambientale e somatica del soggetto.

Il ricordo del primo rapporto oggettuale è un’impronta relazionale che viene registrata nella memoria implicita e permane nel corso di tutta la vita. E la ritroviamo, per esempio, nell’esperienza estetica, che è un momento in cui il soggetto si sente afferrato/rapito/coinvolto da un oggetto. 

Il sogno e il rapporto con sé stessi

L’impronta del modo in cui il soggetto è stato assoggettato dall’Altro materno stabilisce anche le condizioni del rapporto che il soggetto intrattiene con sé stesso.

La modalità in cui un soggetto si percepisce e si rapporta a sé stesso come soggetto d'esperienza riflette l’impronta delle prime trasformazioni generate dalle cure materne.

L’idioma delle cure materne emerge in modo particolare nei sogni: il sognatore è infatti colui che fa l’esperienza del sogno, ma allo stesso tempo è l’oggetto della sceneggiatura del sogno.

Nell’attività del sognare c’è un’intelligenza organizzatrice – la parte inconscia dell’Io di cui parlava Freud e che è stata ripresa e valorizzata dalle riflessioni di Bollas – che predispone lo scenario e la sceneggiatura del sogno. In questa attività di costruzione del sogno si manifesta un rapporto oggettuale del soggetto con sé stesso che rievoca l’impronta della logica materna di cura.

Bollas concepisce il sogno come una sorta di “sorprendente appuntamento” tra due dimensioni dell'esistenza: l’Io cosciente che percepisce e organizza ciò che è stato vissuto e osservato e la lettura inconscia della vita.

Nell’evento onirico il soggetto sognante si trova immerso nell’incontro tra la parte consapevole di sé e la struttura psichica inconscia che riflette l’impronta del primo rapporto oggettuale.

Nel modo in cui un soggetto organizza la sua attività onirica osserviamo quindi l’ombra dell’oggetto, il marchio della relazione con l’Altro, quel marchio che, prima ancora di essere conosciuto, è stato vissuto come una condizione dell’essere.

 

Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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