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Seminario XX di Jacques Lacan

Lalangue da Urbino al lavoro clinico

Sono affezionato in modo particolare al Seminario XX di Jacques Lacan perché mi riporta indietro nel tempo.

Il Seminario XX richiama alla memoria il periodo, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000, in cui ero studente all’Università di Urbino e frequentavo le lezioni di Massimo Recalcati.

 

In aula a Urbino

Dopo aver svolto regolarmente le sue lezioni, così come era previsto dal corso di laurea in psicologia, Recalcati rimaneva ancora in aula per fare un seminario sul testo di Lacan. Alla fine delle lezioni le presenze in aula, invece di diradarsi, aumentavano, continuavano infatti ad arrivare altri studenti, erano quelli degli anni precedenti che avevano già fatto l’esame con Recalcati, ma ritornavano per non perdersi quel momento speciale in cui Recalcati ci parlava dell’amore leggendo e commentando il Seminario XX di Lacan.

Gli spazi in aula sembravano moltiplicarsi, alcuni trovavano posto in zone impensabili, altri si accomodavano per terra e, pur stringendosi uno con l’altro, trovavano il modo per tirar fuori dalle loro borse quaderni e blocknotes su cui prendere appunti.

Conservo ancora le fotocopie di quella prima edizione in lingua italiana del Seminario XX e mi fa un certo effetto rileggere quelle frasi che avevo annotato sul retro dei fogli. Cercavo di imprimere con l’inchiostro le parole che Recalcati estraeva dal Seminario di Lacan. Se ripercorro i ricordi di quei momenti sento affiorare le stesse sensazioni che provavo mentre scrivevo e ascoltavo la voce di Recalcati.

Per molti di noi, che eravamo lì presenti, quella voce ha lasciato una traccia, la traccia di una pulsazione che, in altre occasioni, ho chiamato l’effetto Recalcati. Un effetto che, come potete intuire, è strettamente collegato alla testimonianza del desiderio del maestro e che prima ancora di configurarsi come un contenuto didattico si presenta come esperienza del Reale, di quel Reale della lalangue di cui Lacan parla proprio nel Seminario XX.

 

Lalangue e la duplicità dell'inconscio

La dimensione della lalangue ci permette di cogliere la complessità della teoria dell’inconscio formulata da Lacan. Beninteso, non credo che l’esperienza della lalangue posso essere considerata oggi come una specificità o una concettualizzazione esclusiva della psicoanalisi lacaniana.

Sicuramente Lacan ha messo in luce nel Seminario del 1972-1973 qualcosa che, nel periodo in cui lo pronunciava, era innovativo e dirompente per molte teorizzazioni presenti nel panorama psicoanalitico. Lacan è un genio perché possiamo dire è arrivato venti o trent’anni prima di tanti altri psicoanalisti a comprendere le particolarità dell’esperienza dell’inconscio in analisi.

Oggi se leggiamo alcuni testi formidabili di Christopher Bollas, che prende le mosse dalla scuola degli indipendenti britannici, oppure se allarghiamo il nostro orizzonte alla psicoanalisi relazionale e consideriamo per esempio i lavori di Stephen Mitchell, allora possiamo trovare ampi riferimenti all’esperienza della lalangue.

Essenzialmente per Lacan l’inconscio è un impasto di linguaggio e lalangue.

Il linguaggio è la struttura che serve per creare connessioni che producono significati, mentre lalangue indica un ritmo che esprime l’atmosfera e le vibrazioni della vita emotiva.

Questo impasto di ritmo e struttura funziona mentre noi parliamo, ricordiamo, sogniamo, immaginiamo, danziamo, facciamo l’amore e tante altre esperienze che ci rivelano che la nostra vita cosciente è in realtà guidata da un’altra dimensione di cui non siamo consapevoli, ma di cui registriamo comunque gli effetti.

In diversi suoi libri lo psicoanalista Christopher Bollas ha posto l’attenzione su esperienze che viviamo nel presente, ma che inaspettatamente rievocano un passato remoto che ci sembrava di aver archiviato nei cassetti della memoria e che invece vediamo emergere nella nostra mente con un’insospettata vividezza.

Bollas sottolinea che non c’è bisogno di essere psicoanalisti per sapere che durante le nostre giornate percepiamo inconsciamente quello che ci capita intorno, e ancor di più pensiamo inconsciamente agli eventi che viviamo, collegandoli a esperienze precedenti della nostra vita e in alcuni casi le tracce di queste esperienze possono organizzarsi durante la notte in un sogno. Di tutto questo, solo una piccola frazione affiora brevemente nella nostra coscienza.

Ci sono eventi che mostrano quanto nella nostra memoria continuino ad essere attive quelle tracce sensoriali ed emotive che custodiscono in sé un intero universo relazionale. E questo universo esercita il suo effetto come un’onda che sembra provenire da un’altra galassia. In questa attività della nostra vita psichica e corporea facciamo esperienza degli effetti dell’inconscio che si fanno sentire attraverso suoni, immagini e parole che scorrono lungo il fiume in cui ritmo e struttura confluiscono.

 

Connessioni e vibrazioni

Se guardiamo in generale l’insegnamento di Lacan, osserviamo che il linguaggio cerca di tenere insieme due dimensioni della nostra esperienza: quella del significante e quella del godimento.

Per Lacan il linguaggio è innanzitutto una struttura di significanti che attraverso la loro connessione rendono possibile la significazione. Il linguaggio non è però finalizzato soltanto alla produzione del senso, esiste una dimensione del linguaggio che genera invece godimento. È questa seconda dimensione che viene indicata da Lacan con il termine lalangue.

Nell’esperienza della lalangue ciò che conta non è la sintassi grammaticalmente corretta dei significanti: a questo livello viviamo un’esperienza di godimento grazie al ritmo che viene dato alla successione dei significanti.

Lacan sottolinea la dimensione materna della lalangue perché in effetti la prima esperienza che, come essere umani, possiamo fare della lalangue riguarda i momenti in cui l’Altro si prende cura di noi, e solitamente questo primo Altro sono le madri. Aggiornerei però questa accezione materna della lalangue dicendo che oggi il primo Altro di un bambino o di una bambina può anche essere il padre, infatti ciò che conta nella lalangue è il tipo di sintonizzazione che si crea tra l’Altro e il soggetto.

Lalangue indica una sintonizzazione dove la base dell’intesa intersoggettiva non sta tanto nella comprensione del significato dei messaggi che passano tra soggetto e Altro, ciò che fa la differenza è la condivisione del ritmo e della gioia dell’interazione.

È la condivisione del ritmo che costruisce la sensazione di un’intesa e di un’appartenenza al legame.

E questo vale non soltanto nel rapporto tra un bambino e i genitori, ma anche tra fratelli. Proviamo per un attimo a immaginare la situazione in cui dei fratelli giocano e ridono insieme al loro fratellino più piccolo: il fratellino magari non parla ancora ma partecipa pienamente alla vita del gruppo senza comprendere il significato delle parole ma avendo ben chiaro il significato emotivo di quello che sta succedendo.

L’Altro con la A maiuscola non indica soltanto i genitori, ma tutti gli altri significativi che interagiscono con il soggetto costruendo una relazione che prende origine dalle vibrazioni della lalangue.

Per Lacan esiste dunque la dimensione del linguaggio che indica la struttura dei significanti ed esiste anche la dimensione della lalangue che funziona invece come uno sciame.

Lo sciame viene evocato da Lacan per render conto di un funzionamento dei significanti che non segue la logica della struttura.

La logica dello sciame si configura piuttosto come un ronzio di significanti, un ronzio significante che non produce senso ma che rimane tuttavia impresso nell’esperienza emotiva e corporea del soggetto.

 

Sapere psicopatologico e atto diagnostico

Il concetto della lalangue permette di riprendere i quattro ambiti principali del lavoro clinico – la psicopatologia, il processo diagnostico, la direzione della cura e la scrittura del caso clinico – tenendo presente la duplicità dell’inconscio, cioè la divisione interna, il taglio sempre in atto tra linguaggio e lalangue, tra articolazione e vibrazione, tra metafora e metonimia, tra senso e godimento.

Ogni psicopatologia, cioè la costruzione di un sapere sui sintomi e le strutture cliniche, presuppone un’antropologia, una teoria del soggetto che dal punto di vista della psicoanalisi lacaniana si basa sull’incidenza della dimensione del significante sull’essere umano.

Con lalangue l’inconscio non è soltanto strutturato come un linguaggio, ma è anche abitato da uno sciame di significanti che non fanno trama e rendono sempre insatura ogni strutturazione dell’Altro del linguaggio.

Se consideriamo fino in fondo la portata innovativa del concetto della lalangue, potremmo anche accorgerci che la classica distinzione delle figure cliniche della psicopatologia lacaniana, secondo le tre strutture della nevrosi, della psicosi e della perversione, può essere ampliata prendendo in considerazione un funzionamento soggettivo che si basa sullo sciame dei significanti e non sull’inconscio strutturato come un linguaggio.

La logica dello sciame apre la possibilità per esplorare la clinica dei nuovi sintomi e in particolare il funzionamento borderline da un punto di vista lacaniano.

Nella costruzione del sapere della psicopatologia, lalangue indica la presenza di qualcosa che funziona secondo la logica del trauma anziché secondo quella della trama.

Lalangue ci porta a pensare non soltanto alla struttura che contiene al suo interno un trauma, un buco, il cosiddetto buco del linguaggio. Nell’ambito dell’esperienza clinica lalangue evidenzia una condizione dell’essere che corrisponde a un funzionamento traumatico, una clinica del trauma che rimane refrattaria alle possibilità articolatorie della struttura del linguaggio.

Nella clinica c’è quindi un trauma senza trama che non è interno alla trama.

E questo è un aspetto decisivo per il processo diagnostico perché, se diamo per scontata l’esistenza della struttura del linguaggio, allora quando ascolteremo un soggetto saremo potenzialmente imbambolati da un’ipotesi diagnostica che ci orienta a verificare la presenza di una delle tre strutture (nevrosi, psicosi e perversione), scartando a priori uno sciame di significanti che non ha mai trovato ospitalità e traduzione nella dimensione della struttura.

 

Taglio e punteggiatura

Quindi vediamo già come il taglio tra struttura e sciame, tra linguaggio e lalangue abbia un impatto sulla concezione della psicopatologia e sul lavoro clinico in fase diagnostica. Tutto questo ha poi una rilevanza notevole nella direzione della cura. Per esempio, vediamo quanto sia necessaria la distinzione dell’interpretazione in due versanti: quello della punteggiatura  e quello del taglio.

La punteggiatura consiste nel sottolineare l’articolazione del linguaggio e l’amplificazione del senso, ma anche la possibilità di introdurre delle discontinuità nel discorso che sostengono il rimando da un significante a un altro significante.

Quando invece l’interpretazione diventa taglio, allora il fluire del discorso viene considerato nel suo essere un inciampo della catena dei significanti, nel suo essere un significante assoluto, una lettera che non fa trama, una lettera che si configura come l’incisione del significante sul corpo, quell’incisione che produce godimento prima ancora che questo possa essere rivestito dalla dimensione del significato.

Lalangue mostra il significante nel suo grado zero, il significante che si esprime in stretta risonanza con la vibrazione emotiva e corporea.

Lalangue è lo sciame dei significanti prima ancora che possano acquisire un significato intellegibile e prima ancora di evocare una semanticità inarticolata: lalangue rende innanzitutto presente la commemorazione di un’esperienza di godimento.

È all’esperienza della lalangue che viene ricondotto l’esito finale del discorso analitico.

Lacan lo fa presente nel Seminario XX quando sottolinea che quell’S1 prodotto dal discorso analitico è il significante in quanto Uno del godimento. Tuttavia è proprio da lì, da quell’Uno-tutto-solo, che risuona nella lalangue, che si apre la contingenza dell’incontro d’amore. È in questo snodo che potremo esplorare un apparente paradosso: come è possibile che un’esperienza che resiste a ogni metabolizzazione da parte dell’Altro del linguaggio, costituisca l’unica chance per l’incontro d’amore?

 

Scrittura del caso clinico

Lalangue risulta decisiva anche nel momento in cui ci occupiamo della scrittura del caso clinico. La scrittura del caso clinico è fondamentale nella formazione degli analisti e costituisce l’ambito elettivo attraverso cui viene fatta la ricerca psicoanalitica, sebbene alcuni importanti ricercatori abbiano relegato la scrittura del caso clinico a un registro meramente aneddotico perché ritengono che non abbia alcuna validità di dimostrazione scientifica. Tuttavia, riscontriamo che ancora oggi la formazione di tutti gli psicoterapeuti di orientamento psicoanalitico passa attraverso l’esperienza della scrittura del caso clinico e allo stesso tempo possiamo verificare che tutti coloro che svolgono la pratica clinica spesso trovano poco significative per il loro lavoro le produzioni scientifiche pubblicate sulle riviste più accreditate. 

Ecco, credo che il concetto della lalangue ci consenta di mettere in luce anche questo snodo che ha a che fare col rapporto tra clinica, ricerca e trasmissione dell’esperienza psicoanalitica.

Lalangue, infatti, ci fa vedere che la scrittura del caso clinico non può essere basata solo su un’argomentazione efficace attraverso cui mostriamo l’applicazione della teoria nella clinica. La dimensione della lalangue ci fa vedere che la scrittura del caso clinico deve produrre un effetto di Reale e ciò che coinvolge e convince un collega della nostra esperienza è l’effetto di Reale prodotto dalla lalangue.

Senza la lalangue la solitudine dell’atto analitico non riesce a transitare nel vivo della pagina scritta.

Quindi ciò che risulta inassimilabile a ogni metabolizzazione della struttura, ciò che nessuna articolazione o misurazione potrà mai del tutto acciuffare, costituisce il fondamento della trasmissione della psicoanalisi. Lalangue è ciò che permette il legame tra la solitudine dell’atto analitico e la possibilità di partecipare a una comunità di analisti. Senza lalangue non ci sarebbe esperienza della psicoanalisi, non ci sarebbe trasmissione della psicoanalisi e non ci sarebbe comunità analitica.

 

L'incontro della lalangue

La lalangue ci espone all’assenza di una formula universale per fare esperienza dell’incontro. L’incontro, così come la trasformazione soggettiva che avviene in una cura, si realizza sempre all’insegna dell’inesistenza di una formula generale.

L’incontro appartiene alla dimensione della singolarità e avviene sempre in esilio dall’universale.

L’incontro è una contingenza che può verificarsi grazie al fatto che non c’è un cammino preordinato. Non è un caso se – come mostrano le ricerche empiriche – un percorso psicoterapeutico risulti trasformativo quando il terapeuta si distacca dal cammino prefigurato dalla teoria per entrare in relazione con la singolarità del soggetto.

Una differenza importante tra il discorso analitico e il discorso dell’università – è il posto che viene dato all’oggetto piccolo a e al sapere (S2).

Come mette in luce Lacan nel Seminario XVII il discorso dell’università ha la pretesa di collocare la singolarità del soggetto nel luogo misurabile dall’Altro e pone come agente un sapere già saputo. Invece nel discorso analitico è la singolarità che occupa il posto di agente del discorso e il sapere funziona come un supposto sapere che si trova nel luogo della verità.

 

Dal soggetto al parlessere 

L’incontro non può avvenire seguendo un cammino già tracciato e forse non può avvenire finché consideriamo i due partner come il soggetto e l’Altro, occorre considerarli come due parlesseri: è questo il passaggio che consegue al transito dal linguaggio alla lalangue.

L’esperienza della lalangue espone all’inesistenza di una formula universale in grado di regolare il rapporto tra i godimenti degli esseri umani, tra le sostanze godenti degli esseri umani.

Non esiste una formula che può dire in anticipo la melodia che fa risuonare la vibrazione incarnata di un parlessere con quella di un altro parlessere.

È a questo proposito che possiamo riprendere quei versi meravigliosi in cui Antonio Machado ci ricorda:

Caminante, no hay camino, 

sino estelas en la mar.

Viandante, non c’è cammino, 

soltanto scie sul mare. 

 

Ho ripreso questi versi in occasione del ventennale di Jonas proprio nel frangente in cui sottolineavo l’importanza nella clinica di Jonas dell’uno per uno, del caso per caso, di un approccio clinico fondato sulla singolarità. E, in Jonas, anche nella scrittura dei casi clinici viene dato un posto fondamentale alla testimonianza della singolarità, del caso per caso, dell’uno per uno, perché far emergere la voce dell’inconscio occorre far vibrare la singolarità della lalangue.

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Per qualche spunto in più guarda questo video sullo sciame borderline.

 

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Per approfondire, tra i libri di Nicolò Terminio, si rimanda a Lo sciame borderline. Trauma, disforia e dissociazione, pref. di M. Recalcati, Raffaello Cortina editore, Milano 2024. 

 

Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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