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Il pensiero clinico di Massimo Recalcati risulta fondamentale per comprendere l'anoressia bulimia e gli altri nuovi sintomi.

Olofrase e forclusione nell'anoressia-bulimia

Il pensiero clinico di Massimo Recalcati risulta fondamentale per comprendere l'anoressia-bulimia e gli altri nuovi sintomi che rientrano nella clinica del vuoto.

In numerosi studi clinici Recalcati ha mostrato che nella cura dei nuovi sintomi l’interpretazione semantica non riesce a scongelare l'olofrase che caratterizza il discorso del soggetto. L’intervento decisivo con i nuovi sintomi è il maneggiamento della relazione terapeutica: la relazione terapeutica diventa più efficace dell’interpretazione.

Le forme contemporanee della clinica pongono ancor di più il problema del trattamento del godimento, ossia di ciò che è refrattario alla dimensione della parola e che il paziente indica come “ciò che è più forte di me”. Si tratta del “tornaconto paradossale del sintomo” che nel testo del colloquio possiamo dedurre da frasi con struttura logica simile: “non ne posso più, ma non ne posso fare a meno”.

 

Olofrase e nuovi sintomi

Se nella clinica della nevrosi il vantaggio secondario del sintomo si fa cifra sintomatica di una posizione soggettiva, nella clinica del vuoto il sintomo non è metafora del soggetto dell’inconscio, ma è segno di un regime di godimento da tutelare o ripristinare.

L’“inclinazione olofrastica del discorso” (Recalcati, L'ultima cena, p. 216) dei nuovi sintomi produce un effetto di congelamento della dialettica tra il soggetto e l’Altro, dove il sintomo non diviene metafora di una verità rimossa, ma custode di un Io che scarta l’Altro.

A differenza della clinica della nevrosi, la clinica dei nuovi sintomi manifesta “la crisi, l’arresto, la caduta della funzione simbolica della metafora perché l’olofrasizzazione del discorso implica un suo addensamento asemantico la cui inerzia si oppone tanto alla rivelazione metaforica quanto alla combinazione metonimica degli elementi significanti” (Recalcati, Il corpo ostaggio, p. 191). Ecco perché, a differenza della classica nevrosi, il pazien­­­­te chiede soltanto di “aggiustare” il funzionamento del suo Io senza voler sapere quali implicazioni intersoggettive siano nascoste nel suo sintomo.

 

Clinica del vuoto ed esclusione dell'Altro

La clinica del vuoto si configura come un’esclusione a priori dell’Altro, il vuoto non è aperto sull’Altro della parola. Nella classica nevrosi l’Altro viene implicato nella verità rimossa del sintomo, per cui il soggetto si rivolge al terapeuta in quanto incarnazione del luogo della verità: “Ti parlo perché tu sei in grado di ascoltare la verità che mi sfugge”.

Nella clinica del vuoto invece il paziente non si presenta come soggetto diviso dal proprio sintomo, poiché il soggetto è alienato in un’identificazione con il sintomo – “sono un’anoressica”, oppure “sono un depresso” – che non viene interrogata nella sua valenza metaforica, ma solo nei suoi aspetti comportamentali.

Nei nuovi sintomi la domanda di aiuto è tendenzialmente refrattaria alla dimensione della parola, da ciò scaturisce la precarietà del legame transferale, ossia della domanda che viene rivolta all’Altro.

La caratteristica anti-metaforica della domanda apre allora la questione del trattamento preliminare della domanda, affinché il paziente possa riconoscere l’enigma (il sintomo-messaggio) che potrebbe coinvolgerlo in una domanda inedita sulla propria verità.


Diagnosi differenziale nell'anoressia-bulimia

In sede di primo colloquio può capitare di ascoltare una paziente bulimica che ci chiede di aiutarla a ridiventare anoressica, perché per lei la bulimia è solo un inceppamento del funzionamento anoressico.

In queste situazioni osserviamo l’assenza di una messa in questione del sintomo, che si presenta piuttosto come la maschera garante di un’identità. Dietro questa maschera potrebbe però esserci il “niente” (Recalcati, Clinica del vuoto, pp. 17-25), potrebbe cioè nascondersi l’assenza di un’iscrizione effettiva nel campo dell’Altro.

In questi casi – come sottolinea Recalcati – è importante che il clinico interroghi la struttura psichica che si cela dietro questo fenomeno.

Il punto cruciale nella diagnosi è stabilire dunque la differenza tra nevrosi e psicosi, a partire da un sintomo che però rimane solo segno e che di per sé non rivela alcuna struttura.

Nella prospettiva recalcatiana l’anoressia e la bulimia sono indice di una “posizione del soggetto” e non di una struttura nevrotica o psicotica.

“Nella clinica dell’anoressia-bulimia il fenomeno tende a coprire con la sua univocità seriale la differenzialità della struttura” (Recalcati, Il corpo ostaggio, p. 45).

I nuovi sintomi sono l’indice fenomenico di un’identità solidificata in “un cortocircuito olofrastico che non concatena in una logica significante il senso ma lo abolisce, lo pietrifica” (Recalcati, Il corpo ostaggio, p. 46).

Sarà il lavoro svolto nei colloqui preliminari a chiarire la diagnosi di struttura e da lì il sintomo verrà interrogato nella sua valenza metaforica (nevrosi) o verrà preservato in quanto compensazione o supplenza all’assenza forclusiva del Nome-del-Padre (psicosi).

Il tempo preliminare della cura contempla un percorso diagnostico da cui poter ricavare le coordinate per la direzione della cura, ma anche un processo di trasformazione dei rapporti del soggetto con l’Altro.

Nella cura psicoanalitica classica il tempo preliminare serve a produrre una “rettifica soggettiva”, ossia la responsabilizzazione del soggetto all’interno del discorso di cui si fa portatore. Questa fase è cruciale affinché il soggetto possa riconoscere la parte che egli ha nel mantenimento della sofferenza di cui si lamenta e per cui chiede aiuto.

La rettifica preliminare consiste nel trasformare la domanda iniziale per aprire nel soggetto un’interrogazione sulla propria implicazione etica nella causa della sua sofferenza. Questo passaggio trova comunque il suo presupposto nella tendenza del soggetto a indirizzare all’Altro la questione che egli è.

Nel caso dei nuovi sintomi invece le condizioni di possibilità per l’entrata del soggetto nella cura analitica richiedono un trattamento preliminare della domanda perché l’aspetto monolitico del godimento non si lascia condizionare dal legame intersoggettivo.

Il problema della clinica contemporanea è che il sintomo non ha più qualcosa da dire, è solamente un segno che non allude ad alcun senso, è semmai completamente appiattito sulla dimensione dell’agire.

 

Rettificare l'Altro

La dimensione olofrastica dei nuovi sintomi impone di “operare preliminarmente una rettificazione dell’Altro anziché del soggetto” (Recalcati, L'uomo senza inconscio, p. 287). Solo in questo modo il soggetto potrà sganciarsi dalla sua posizione anti-dialettica.
 
L’aspetto olofrastico della clinica del vuoto nasce come risposta, come barriera rispetto ad un Altro che lo asfissia con il soddisfacimento del bisogno, lasciando però intatta la dimensione del segno d’amore, di quel segno che particolarizza le cure “materne”. Si tratta di un Altro che non lascia spazio per la particolarità del soggetto, che tende cioè ad assorbirlo tutto, ad “assoggettarlo”. Questa saturazione del campo relazionale impedisce al soggetto di tracciare la lettera singolare del proprio desiderio che rimane perciò in balia delle determinazioni dell’Altro.

Nella clinica del vuoto “il nostro lavoro clinico inizia necessariamente come un lavoro preliminare sulla domanda” (Recalcati, L'omogeneo e il suo rovescio, p. 84).

È importante che il lavoro preliminare non coincida con un lavoro della risposta, il rischio sarebbe quello di mettersi nella stessa posizione di un Altro che con il suo sapere non lascia spazio alla parola particolare del soggetto.

Il tipico lavoro della risposta è rappresentato dalle prescrizioni di stampo comportamentale che intendono trasmettere al soggetto un sapere a proposito della gestione del suo sintomo.

L’Altro che può comparire in questi casi – anche se mosso dal desiderio di aiutare – è un Altro che assume le sembianze dell’intruso e che inevitabilmente conduce a un irrigidimento dell’identificazione olofrastica del soggetto.

Si tratterebbe di una collusione – anche se inconsapevole – con il sintomo. La somministrazione di un progetto educativo o comportamentale sarebbe, per esempio, l’occasione per presentificare l’angoscia fondamentale del soggetto anoressico, cioè di essere divorato, di essere completamente assorbito dal sapere e dalla volontà dell’Altro.

Le stesse interpretazioni semantiche che caratterizzano la tecnica psicoanalitica possono assumere la forma dell’intrusione. Di fronte a pazienti che privilegiano la modalità dell’agire piuttosto che quella del pensare non è possibile avvalersi del metodo classico, sebbene l’interpretazione sia finalizzata proprio allo sviluppo della capacità riflessiva, funzione particolarmente compromessa in pazienti dell’area borderline.

Nella clinica dei nuovi sintomi l’analista è chiamato a incarnare le sembianze di un Altro che sappia non domandare nulla al soggetto e al tempo stesso sappia farsi garante di una messa in questione del sintomo.

L'analista insinua un’interrogazione sul disturbo collegandolo alla dimensione del significato senza l’anticipazione dell’interpretazione semantica. La parola dell’analista non si sovrappone a quella del soggetto ma si fa supporto di una possibile enunciazione del paziente.

Nella cura dei nuovi sintomi l’analista non deve incarnare un Altro invadente che si propone come colui che sa disciplinare il Reale del soggetto, ma un Altro con cui il soggetto può co-esistere investendo sulla propria parola senza mettere in atto quella separazione radicale che, ad esempio, si esprime nel rifiuto anoressico del cibo (dell’Altro).

Nel caso dell’anoressia il sintomo “non dà luogo alla domanda perché si configura già come una risposta del soggetto rispetto a ciò che l’Altro vuole da lui: l’Altro vuole che mangi e il soggetto a questa domanda risponde con un no inflessibile!” (Recalcati, Anoressia-bulimia: il trattamento della domanda, p. 145).

La fase preliminare di una cura è un processo molto delicato perché gran parte del lavoro compiuto, soprattutto nei casi più gravi, si gioca sulle modalità di riattivazione del discorso dell’inconscio. È su questa via che la psicoanalisi può rilanciare la sfida, l’apertura del Simbolico per quel Reale che si fa spazio nel vuoto soggettivo della clinica contemporanea.

 

Per qualche spunto in più sulla clinica e sulla cura dell'anoressia-bulimia si veda questo questo intervento di Nicolò Terminio tenuto in occasione di una puntata del programma televisivo Siamo Noi (TV200):

 

Cura anoressia bulimia

Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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