Trasformarsi nell’inconscio
L’atto analitico è quell’intervento clinico non preordinato (e creativo-abduttivo) che può toccare quel qualcosa di singolare del soggetto aprendo un’alternativa alla ripetizione dell’inconscio.
L’atto analitico vuole incidere sul tempo della ripetizione dell’inconscio introducendo una scansione capace di far emergere qualcosa di nuovo.
Ovviamente potremo rilevare un atto analitico solo retroattivamente (après coup) e una ricerca sul caso clinico dovrà appunto raccogliere tutti quei pezzi di una cura che mostrano il modo in cui un atto singolare dell’analista possa collegarsi alla trasformazione singolare dell’analizzante.
Indice
Esempi ed eccezioni
L’atto analitico è una necessità logica prescritta dall’articolazione che intercorre tra esempi paradigmatici ed eccezioni della prassi.
Le eccezioni denotano la loro eterogeneità radicale al sapere acquisito, e per questo rappresentano dei frammenti di esistenza che resistono alle generalizzazioni.
Gli esempi, d’altro canto, entrano nel campo del sapere grazie al loro riferimento all’universale ma non escludono la responsabilità dell’atto analitico perché richiedono un’inferenza che contestualizzi la logica che indicano.
L’atto analitico richiede una tipologia di inferenze che possono oscillare dall’abduzione “automatica o dizionaristica” fino a un tipo di abduzione definita “strategica”.
“A colui che si serve di un’abduzione strategica – al soggetto definito dalla metis – non si può chiedere quella pazienza, nelle verifiche, che presupporrebbe l’immobilità o la quasi-immobilità del Caso e del Risultato. Lo stratega si trova ad agire in situazioni che la sua interpretazione influenza o modifica. […] Il suo fallibilismo potrebbe apparire come una proprietà deprecabile anche se necessaria, un limite di fronte a cui rassegnarsi e non un carattere positivo nella propria specificità. È questo carattere che bisogna invece rivendicare: nell’abduzione strategica si mostra il lato anteriore del tempo, l’anticipazione incerta, fascinosa, legata a scelte irreversibili” (G. Bottiroli, “Metis e interpretazione”, aut aut, 1987, 220-221, p. 135).
Il sapere dell’inconscio in analisi è un corpo a corpo con il tempo perché fa perdere la sicurezza di un ormeggio alla terra ferma ed espone all’eco della contingenza.
L’atto dell’analista mira a riprodurre per il paziente il medesimo iato che separa il prima e il dopo che caratterizza l’anticipazione incerta di ogni scelta, compresa quella clinica.
L’atto analitico ha un effetto trasformativo non solo sul Reale del paziente, ma anche su quello dell’analista: l’atto trasforma chi lo compie. Si tratta di “un gesto che cambia il soggetto, per l’appunto quello con cui lo psicoanalista si qualifica in atto” [J. Lacan (1969), “L’atto psicoanalitico. Resoconto del seminario del 1967-1968”, in Altri scritti, p. 372].
Mettersi nella posizione analitica, oppure sintonizzarsi con il cosiddetto desiderio dell’analista vuol dire rendersi disponibile alla possibilità di compiere un atto analitico.
“L’atto comanda che la causa del desiderio sia l’agente del discorso” [J. Lacan (1970), Allocuzione sull’insegnamento, in Altri scritti, p. 299]. Questo implica non soltanto la possibilità di essere creativi nella conduzione della cura, ma anche lasciarsi plasmare dall’esercizio della funzione analitica.
Fare l’analista può produrre degli effetti non solo sui pazienti, ma anche su chi – giorno dopo giorno – lavora con il movimento dell’inconscio. Ecco perché possiamo concepire la seduta psicoanalitica come un dispositivo Simbolico dove il dire – in modo diverso per paziente e terapeuta – punta all’incontro con il Reale.