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Apprendere dall'esperienza Bion

Soggettivare il sapere

La formazione analitica consiste non solo nella trasmissione e acquisizione di una conoscenza teorica ma soprattutto nella possibilità di soggettivare ciò che si conosce a livello teorico.

La soggettivazione è intimamente collegata al legame che si stabilisce tra i nomi e le cose, tra la sintassi dei concetti e le smagliature del Reale. In ambito clinico la soggettivazione è un presupposto indispensabile, non la garanzia, dell'atto analitico. Su questi temi, in ambito lacaniano, si è ampiamente espresso Recalcati sottolineando la necessità di un percorso formativo in grado di valorizzare “il processo di soggettivazione”:

“La clinica, per essere praticata eticamente, esige una lettura soggettivata del testo. È il grande insegnamento di Freud al quale Lacan è sempre rimasto fedele: lo psicoanalista per quanto deve avere un sapere (universale) sulla struttura, deve essere in grado di ascoltare il soggetto nella sua più totale incomparabilità. Assenza, dunque, di ogni pensiero protocollare, di ogni conformismo teorico, di ogni scolastica concettuale; l’atto dell’analista non si sostiene sull’Altro – il suo sapere, la sua potenza immaginaria, la sua garanzia – perché l’Altro non esiste, ma avviene solo sull’abisso della sua assenza, della sua inconsistenza” [M. Recalcati, “Letture di Lacan”, aut aut, (2009) 343, p. 29].

Indice

L'inconsistenza dell'Altro

L’inconsistenza dell’Altro che Recalcati chiama in causa riguarda l’assenza di una garanzia in grado di certificare in anticipo l’efficacia e la pertinenza di una diagnosi, di un’interpretazione o di un atto analitico. In altri termini, non c’è un modello per applicare i modelli e dunque nessun modello può determinare quali siano le sue applicazioni corrette.

Non c’è un metamodello, un metalinguaggio: non c’è una regola che ci dica come applicare le regole, per dirla con il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche [I,201].

È in questo momento di solitudine che le questioni metodologiche poste dalla clinica trovano il loro punto di giunzione con la questione etica dell’atto analitico.

Sebbene l’atto analitico venga compiuto nella solitudine, così come ogni transito generativo si sostiene su un legame sociale, sull’appartenenza a una comunità di psicoanalisti.

Nell’insegnamento di Lacan il discorso analitico si fonda a partire dal legame sociale: la scelta clinica implica la solitudine dell’atto, ma trova un momento di riconciliazione con l’Altro in un discorso che non è solitario.

Supervisione e discussione del caso clinico 

Il momento della supervisione e della discussione del caso clinico funziona come tempo della verifica, come tempo in cui la solitudine dell’analista diventa fondamento singolare di una comunità che da un lato si configura come vincolo scientifico e metodologico e dall’altro come sostegno all’elaborazione del proprio stile personale.

Come ha scritto Mariela Castrillejo: “la lettura critica di un caso clinico vuole essere una verifica collettiva ma non una vigilanza superegoica. Una lettura critica non implica un’aggressività distruttiva ma neppure una cieca adulazione, perché così facendo si andrebbe in detrimento del sostegno all’elaborazione. Nella lettura del caso clinico applichiamo la critica e il sostegno dell’elaborazione come modalità d’intreccio tra castrazione e desiderio. Il processo di castrazione, in questo modo, si integra con il processo di creazione, e il sostegno dell’elaborazione viene inteso come rilancio creativo del lavoro personale” [M. Castrillejo (a cura), Ritratti della nuova clinica. Psicoanalisi dei sintomi contemporanei, Franco Angeli, Milano 2010, p. 12].

È necessaria quindi un’integrazione tra “processo di castrazione” e “processo di creazione” affinché la verifica possa configurarsi come un’occasione per rendere la logica abduttiva il fondamento generativo del sapere clinico in psicoanalisi.

La logica dell’abduzione non giustifica l’autorizzazione di qualsiasi intervento clinico, né intende dissolvere l’importanza del sapere che connota i principi teorici, ma indica semmai il presupposto epistemologico della funzione di un analista che sappia soggettivare un sapere inevitabilmente insufficiente per l’hic et nunc del Reale della clinica.

L'incompletezza del sapere

L’incompletezza del sapere è il presupposto perché possa verificarsi una soggettivazione: se tutto fosse già scritto nella teoria, se tutto fosse già previsto allora non sarebbe necessaria la funzione dell’analista.

Una funzione che per realizzarsi deve però trovare riferimento non soltanto nel momento presente della seduta, ma deve aprirsi alla possibilità della verifica in un contesto comunitario. Solo in tal modo è possibile configurare un antidoto all’autoreferenzialità del gesto clinico.  

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Per qualche spunto in più sulla trasmissione dell'esperienza psicoanalitica si veda questo video sul libro Apprendere dall'esperienza di Bion.

 

Apprendere dall'esperienza di Bion

 

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Psicoterapeuta Torino
Nicolò Terminio, psicoterapeuta e dottore di ricerca, lavora come psicoanalista a Torino.
La pratica psicoanalitica di Nicolò è caratterizzata dal confronto costante con la ricerca scientifica più aggiornata.
Allo stesso tempo dedica una particolare attenzione alla dimensione creativa del soggetto.
I suoi ambiti clinici e di ricerca riguardano la cura dei nuovi sintomi (ansia, attacchi di panico e depressione; anoressia, bulimia e obesità; gioco d’azzardo patologico e nuove dipendenze) e in particolare la clinica borderline.

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