
Self-disclosure: quando le menti si svelano
"Una danza che crea" e "un analista che sa giocare/sognare col paziente" sono due metafore concettuali che possono orientarci nella lettura del libro Menti che si svelano. Caratteristiche e funzioni della self-disclosure dell'analista di Giuseppe Craparo.
Si tratta di un libro che mette in luce diversi aspetti fondamentali della cura psicoanalitica, mostrando quanto la presenza partecipe dell’analista sia fondamentale nella relazione con il paziente.
PARTECIPAZIONE. Quando abbiamo presentato questo libro alla Scuola COIRAG di Torino (30 maggio 2025), ci siamo soffermati insieme all'autore sull'importanza di un approccio terapeutico che sia in grado di mantenere l'apertura necessaria alla partecipazione, senza scivolare però nella confusione relazionale.
“Partecipazione” è una delle parole chiave che emerge dalla proposta teorico-clinica di Craparo, che invita a considerare la relazione terapeuta all’insegna della “mutualità”. Non si tratta però di una mutualità che scivola nella simmetria e nell’immedesimazione immaginaria, che riconduce l’Altro a un doppione dell’Io.
La mutualità a cui fa riferimento Craparo riguarda la possibilità di generare la dimensione del Noi nell’ambito della relazione terapeutica.
In questa prospettiva la self-disclosure si presenta come un fattore relazionale che da un lato mantiene la differenza tra l’io e il tu e dall’altro istituisce quel Terzo intersoggettivo che permette a ciascuno di entrare in risonanza con l’Altro.
Il presupposto da cui parte Craparo deriva da una concezione della vita psichica e relazionale che include la possibilità di una comunicazione tra inconsci, in particolare a livello dell’inconscio non rimosso. Si tratta quindi di una sintonizzazione basata sulla risonanza emotiva e affettiva, sull’attivazione di un tipo di connessione che precede la verbalizzazione e che si configura come lo sfondo di ogni possibilità di mentalizzazione.
Da questo punto di vista si delinea allora il profilo di un terapeuta che non assume la postura relazionale del depositario di un supposto sapere né si pone come una figura enigmatica che per il paziente diventa una sorta di Sfinge di cui occorre interpretare il desiderio. Questo tipo di atteggiamento clinico secondo Craparo, e molti altri studiosi con cui Craparo confronta le sue riflessioni, risulta controproducente, soprattutto nell’ascolto dei pazienti gravi, in particolare con coloro che rientrano nell’ambito della clinica del trauma e della dissociazione, in questi casi occorre piuttosto che il terapeuta sia disponibile a partecipare apertamente alla relazione.
Come sostiene Craparo: “Se c’è una cosa che garantisce la guarigione del paziente, come detto, è la partecipazione affettiva dell’analista alla relazione terapeutica. Se tale partecipazione manca viene sottratta al paziente la possibilità di fare esperienza di un campo relazionale in cui sviluppare un senso di fiducia e sicurezza che gli permetteranno di cominciare a metter insieme i suoi aspetti di sé scissi” (p. 75).
SPAZIO RELAZIONALE. La densità del testo di Craparo riflette una riflessione accurata (in alcuni momenti davvero minuziosa) sul concetto di self-disclosure. La self-disclosure viene trattata considerando sia i diversi autori che se ne sono occupati, in modo più o meno esplicito, sia le diverse sfaccettature che la caratterizzano come un processo relazionale che non diventa mai la mera applicazione di una tecnica di intervento. La self-disclosure consiste in un processo relazionale in cui l’auto-svelamento si compie sul piano relazionale e intersoggettivo, e deve essere anche autentico, affettivo e consapevole.
A questo proposito Craparo osserva: “Svelare il proprio mondo affettivo al paziente, non rimanendo chiusi in un presunto atteggiamento distaccato, favorisce la costruzione di uno spazio inconscio intersoggettivo, un terreno comune, condiviso, culturale in cui è possibile stimolare un processo di riconoscimento reciproco e trasformativo che permetta al paziente di fare esperienza di se stesso in maniera inedita. Insomma essere emotivamente autentici non è un ostacolo, permette all’analista di sentire-con, come afferma Ferenczi, il paziente” (p. 52).
Oltre a valorizzare l’importanza della partecipazione autentica dell’analista, Craparo sottolinea la delicatezza della self-disclosure, che va sempre calibrata in riferimento all’effettiva utilità per il processo trasformativo del paziente. Non si tratta allora di comunicare deliberatamente i propri stati emotivi al paziente, questo farebbe scivolare la relazione terapeutica in una forma di simmetria confusiva, che farebbe venir meno quella "spaziatura" relazionale che permette invece di distinguere che la strada che porta da me a te non è la stessa che porta da te a me.
INCONSCI. Per Craparo si pone dunque la necessità di distinguere i vari tipi di self-disclosure, considerando in primo luogo la specificità del funzionamento del paziente. Tra le differenziazioni che vengono proposte, possiamo porre attenzione innanzitutto su due dimensioni: da una parte l’inconscio dinamico, che da un punto di vista lacaniano potremmo pensare in quanto inconscio strutturato come un linguaggio, e dall’altra l’inconscio non rimosso, che sempre in una prospettiva lacaniana potremmo concepire come l’inconscio che funziona secondo la logica dello sciame.
Le riflessioni di Craparo risultano particolarmente preziose nel momento in cui distingue la self-disclosure relativa al contro-transfert dalla self-disclosure relativa all’enactment.
CONTROTRANSFERT. La self-disclosure relativa al contro-transfert risulta pertinente quando è possibile la comunicazione tra inconsci dinamici. In questi casi il paziente può beneficiare della self-disclosure dell’analista sentendolo più vicino a sé e cominciando a fare una serie di associazioni che riguardano, per esempio, il rapporto con il suo Altro familiare e osservando come tutto questo si riproponga nelle sue relazioni significative. In questi casi la relazione tra transfert e controtransfert mette in campo la relazione tra due menti che sono in grado di co-costruire un nuovo significato condiviso. Questo tipo di self-disclosure apre nuovi sentieri da esplorare nella cura e va distinta dalla self-disclosure contro-transferale, che si presenta invece come un acting out dell’analista relativamente a un suo conflitto inconscio non risolto.
ENACTMENT. La self-disclosure relativa all’enactment mette in scena la dimensione dell’inconscio non rimosso, non solo l’inconscio non rimosso del paziente ma anche l’inconscio non rimosso dell’analista. L’enactment si presenta infatti come un fenomeno relazionale che coinvolge paziente e analista dando forma a una dimensione dissociata che non sarebbe stato possibile manifestare altrimenti.
Nell’enactment non si osserva il ritorno del rimosso, non emerge un desiderio che è stato rimosso dalla coscienza del soggetto. L’enactment coinvolge due persone che sono entrambe in gioco per dare spazio di rappresentazione per esperienze vissute che sono rimaste fuori dalla possibilità di condivisione a causa della dissociazione, e non della rimozione.
Nell’enactment lo spazio terapeutico diventa lo scenario che permette di far riapparire quelle memorie traumatiche che non avevano mai ricevuto ascolto.
In termini lacaniani potremmo dire che nell’enactment l’analista mette a disposizione la sua esperienza della lalangue per entrare in risonanza, per coinvolgersi, nella relazione con il paziente e aprire un registro per quelle esperienze traumatiche che il paziente non ha mai potuto registrare nella relazione con l’Altro.
Il discorso sull’enactment andrebbe ampliato ulteriormente per comprendere più nel dettaglio quanto sia necessario rettificare/trasformare l’Altro nella clinica del trauma e della dissociazione.
Se seguiamo la traccia del testo di Craparo troviamo alcune parole che riassumono in modo significativo la questione aperta dall’enactment nella cura: “nell’enactment vengono messi in atto contenuti traumatici dissociati del paziente e comunicati inconsapevolmente all’analista (Craparo, 2017). L’enactment si manifesta con intense sensazioni ed emozioni vissute dall’analista in rapporto a contenuti traumatici evacuati dal paziente nella relazione terapeutica per mezzo dell’identificazione proiettiva. Non si tratta di per sé di un processo nocivo, per quanto abbia un potenziale distruttivo; ritengo invece che possa rappresentare un’occasione, per il clinico, per entrare in contatto con le memorie traumatiche del paziente e stimolare un processo di trasformazione di aspetti non formulati del Sé del paziente (Stern, 1997). Quando l’enactment si presenta in seduta, il corpo prende il sopravvento sul pensiero, mettendo quest’ultimo fuori gioco, almeno temporaneamente. In questi casi la self-disclosure dell’analista può contribuire a lento lavoro di elaborazione delle memorie traumatiche” (pp. 121-122).
Ovviamente anche nel caso della self-disclosure relativa all’enactment occorre che l’analista valuti quanto sia opportuna per il paziente, evitando quindi che l’autosvelamento intensifichi le difese di tipo dissociativo del paziente invece che favorire l’apertura del discorso.
Craparo sottolinea spesso la necessità della mentalizzazione da parte dell’analista perché in alcuni casi l’analista può svelarsi cercando inconsapevolmente di sbarazzarsi della vibrazione emotiva traumatica trasmessa dal paziente. In queste situazioni la sintonizzazione sulla base della lalangue invece di offrire al paziente l’occasione per veder nascere un nuovo discorso, diventa l’ennesima riproposizione dell’incomunicabilità tra soggetto e Altro. È importante quindi distinguere la self-disclosure relativa all’enactment da una self-disclosure da enactment, che sarebbe uno scadimento dello svelamento sul piano dell’agito invece che la possibilità della simbolizzazione.
DIALETTICA. A questo proposito possiamo riprendere le due metafore concettuali della danza che crea e dell'analista che sa giocare/sognare insieme al paziente: in una cura si tratta di saper modulare, attraverso la partecipazione e il coinvolgimento dell’analista, l’alternanza dialettica tra ritmo e discorso, tra silenzio e parola, tra corpo e mente, affinché la disponibilità dell’analista a partecipare alla relazione possa configurarsi per il paziente come l’occasione per entrare in rapporto con ciò che fino a quel momento veniva evitato o che si riproponeva come un Reale irrappresentabile e intollerabile. Nella cura la self-disclosure può dare alla forza incandescente del Reale traumatico la possibilità di trovare una nuova forma, una nuova trama costruita nella relazione con l’Altro per sognare un destino diverso per ciò che sembrava aver detto l’ultima parola sulle possibilità trasformative del soggetto.
È nel segno di questa possibilità di sintonizzazione che rimaniamo grati a Craparo per aver scritto questo testo, un testo aperto e utile per tutti coloro che si avventurano nella pratica clinica come apprendisti o come naviganti più esperti.