Cosa vuol dire amare? Cos’è il segno d’amore? Lo psicoanalista Jacques Lacan ha ripetuto più volte che “amare è dare all’Altro ciò che non si ha”. E si può dare all’Altro ciò che non si ha soltanto se l’Altro incarna veramente l’alterità e non un duplicato del proprio Io. Trattiamo l’Altro come una replica della nostra immagine narcisistica oppure come l’insondabile mistero del nostro desiderio?
In un tempo dove l’autorità simbolica della funzione paterna sembra irreversibilmente tramontata siamo sempre più confrontati con una trasformazione dello scambio intergenerazionale. Secondo Recalcati le nuove generazioni assomigliano alla figura di Telemaco perché invocano la presenza di padri-testimoni, testimonianze paterne che sappiano mostrare l’annodamento singolare tra Legge e desiderio.
Essere figli è la condizione degli esseri umani, nessuno di noi può evitare di essere figlio, ossia nessuno di noi è padrone delle proprie origini. La vita del figlio prende origine dall’Altro. “Portiamo su di noi la scrittura dell’Altro senza mai poterla leggere chiaramente, né decifrare compiutamente” (Recalcati M., Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato, Feltrinelli, Milano 2017, p. 32).
Considerare la psicoanalisi nella sua globalità è piuttosto difficile poiché le innumerevoli scuole di pensiero che si sono originate dall'opera di Freud hanno espresso delle prospettive tra loro eterogenee.
Con questo primo spunto della serie adolescenza, educazione e famiglia iniziamo a concentrare l’attenzione su quei modelli psicoanalitici che mostrano diversi punti di contatto con la teoria dell’attaccamento confluendo in un’unica prospettiva dinamico-evolutiva.
Nel tempo dell’eterno presente caratteristico dei social, che ha radicalmente riformulato la nostra dimensione relazionale, sembra che occorra ripensare anche l’insegnamento. Nelle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar troviamo una frase che può aiutarci nel concepire la funzione dell’insegnamento: “il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato uno sguardo consapevole su se stessi: la mia prima patria sono stati i libri” (Yourcenar M. (1951), Memorie di Adriano, seguite da Taccuini di appunti, a cura di L. Storoni Mazzolani, Einaudi, Torino 2002 (1ª ed. 1963), p. 32).
Quando si invecchia bisogna fare i conti con le identificazioni che hanno guidato l’intero percorso di una vita, bisogna lasciarle e scoprire che “la verità del mattino diventa l’errore della sera” [Jung C.G. (1930), “Gli stadi della vita”, in Opere, vol. VI, Bollati Boringhieri, Torino 1976, p. 478].
Nel suo modello dell’interazione bipersonale Joseph Sandler sostiene che nei rapporti quotidiani il comportamento di una persona possa suscitare nella mente dell’Altro particolari rappresentazioni di ruolo. Il soggetto assumendo un ruolo all’interno della relazione evoca un atteggiamento complementare da parte dell’Altro: questo può spiegare come nella vita adulta possano essere attualizzati i pattern relazionali internalizzati durante l’infanzia.
Nel mio percorso di ricerca sulla clinica del famigliare mi sono soffermato in modo sempre più convinto su alcune coordinate di base del lavoro con le famiglie. La centralità della dimensione desiderante costituisce un perno metodologico del lavoro clinico che viene svolto quando i genitori chiedono aiuto per risolvere i problemi o i sintomi dei loro figli.
Nel modello relazionale-simbolico sviluppato dalla scuola di Scabini e Cigoli troviamo due vertici di osservazione esplorare ogni programma di educazione sessuale che non sia semplicemente un’ortopedia del comportamento sessuale ma un’apertura sulla relazione affettiva e sessuale.