Perché si scrive? La domanda così formulata mette subito in risalto la questione del soggetto coinvolto nella scrittura. Se facciamo attenzione alla particella si del “si scrive” siamo condotti di fronte a un secondo interrogativo racchiuso nel primo: chi o cosa si scrive?
Essere figli è la condizione degli esseri umani, nessuno di noi può evitare di essere figlio, ossia nessuno di noi è padrone delle proprie origini. La vita del figlio prende origine dall’Altro. “Portiamo su di noi la scrittura dell’Altro senza mai poterla leggere chiaramente, né decifrare compiutamente” (Recalcati M., Il segreto del figlio. Da Edipo al figlio ritrovato, Feltrinelli, Milano 2017, p. 32).
Le persone che leggono, ascoltano e si lasciano toccare dalla parola di Massimo Recalcati sono interessate al suo discorso non perché parli di Lacan in modo comprensibile. Ripercorrendo l’insegnamento di Lacan Recalcati esprime sicuramente un discorso chiaro a tutti ma spinge anche ciascuno a interrogarsi sulla singolarità del proprio desiderio.
Considero i tanti orientamenti della psicoanalisi come tanti dialetti di una stessa lingua. E bisogna precisare che si tratta di una lingua che non esiste. Mi immagino le tante scuole psicoanalitiche come tante sedie disposte in cerchio, tante postazioni da cui osservare e prendere posizione rispetto a un vuoto centrale.
Nella psicoanalisi lacaniana il fantasma inconscio è l’interpretazione che il soggetto – sin da bambino, in modo inconscio e non esplicito – si è costruito del desiderio dell’Altro. Nel caso della clinica borderline l’inaffidabilità dell’Altro non ha permesso al soggetto di decifrare le coordinate del suo rapporto con il desiderio dell’Altro.
Il pensiero clinico di Corrado Pontalti risulta fondamentale per intendere il funzionamento borderline. Riflettendo sulla sua lunga esperienza Pontalti ha concettualizzato il nucleo psicopatologico del disturbo borderline come “la paralisi della funzione simbolopoietica” (Cfr. Pontalti, “La separazione nella clinica dei soggetti borderline”, 2010).