La teoria dell’attaccamento nasce agli inizi della seconda metà del Novecento con l’opera di uno psicoanalista londinese: John Bowlby. Quest’ultimo formula le linee principali del suo percorso teorico tentando di superare i limiti che ritrova nel pensiero psicoanalitico del suo tempo, che appare dominato dalle concettualizzazioni di Anna Freud e Melanie Klein [Cfr. J. Holmes (1993), La teoria dell’attaccamento, Cortina, Milano 1994].
Le diagnosi sono storie, storie che intrecciano ripetizione e cambiamento. Esiste un aspetto stabile della struttura del soggetto, ma la struttura non dice l'ultima parola né sul destino del soggetto né sulla verità che attraversa la sua vita.
Il desiderio è una vocazione e la Legge è una sintassi che vincola la vocazione a trovare una forma. Sintassi vuol dire organizzazione di elementi che segue una successione temporale, cioè un tempo che non può essere schiacciato sull’istante.
La prima infanzia è caratterizzata dalla presenza di due particolari modalità esperienziali, quella dell’equivalenza psichica e quella del far finta.
L’automatismo degli S1, quando assume la forma del necessario e dell’impossibile, evita la contingenza. Nel lavoro analitico la dimensione della contingenza è però fondamentale perché consente di cogliere il momento aurorale in cui significante e godimento entrano in contatto.